REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2254 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Consorzio Laziale Rifiuti – Colari, rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
U.T.G. – Prefettura di Roma, Ministero dell’Interno, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Roma Capitale, rappresentata e difesa per legge dall’Avv. Angela Raimondo, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21;
nei confronti di
Soc A.M.A. S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Damiano Lipani, Francesca Sbrana, Laura Mammuccari, con domicilio eletto presso Damiano Lipani in Roma, via Vittoria Colonna, 40;
per l’annullamento, quanto al ricorso introduttivo:
della nota della Prefettura di Roma prot. n. 17327/Area I bis O.S.P. del 27.01.2014 recante informazioni ai sensi dell’art. 91 del d.lgs. 159/2011 e successive mod. e integr., e di ogni altro atto connesso;
quanto ai motivi aggiunti:
dell’Ordinanza del Sindaco di Roma Capitale n. 37 del 21 febbraio 2014 recante “ordinanza contingibile e urgente ex art.50, comma 5, Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), concernente il superamento delle situazioni di criticità riguardanti il processo di gestione del ciclo rifiuti urbani nella città di Roma;
della sconosciuta nota del Prefetto di Roma ad A.M.A. S.p.A. prot. n. 10004/U del 21 /2/2014 a Roma Capitale; della sconosciuta direttiva di Roma Capitale di cui alla nota prot. n. RA11352 del 2172/2014; della nota A.M.A. S.p.A. prot. n. 010924/U del 27/2/2014, e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Roma e di Ministero dell’Interno e di Soc Ama Spa e di Roma Comune Di;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 giugno 2014 la dott.ssa Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il provvedimento impugnato il Prefetto di Roma ha adottato nei confronti del CO.LA.RI, (oltre che delle società E.Giovi S.r.l., P. Giovi S.r.l. ed Officine Malagrotta S.r.l.), da tempo operativo nella gestione dei rifiuti nella Regione Lazio, l’informativa antimafia interdittiva ai sensi del D.Lgs. n. 159/11.
Il provvedimento richiama le informazioni acquisite dagli organi di polizia in relazione al procedimento penale R.G.N.R. 7449/2008 e n.r. 13928/2008 R.G. GIP del 2/1/2014, ed in particolare l’adozione da parte del Tribunale di Roma dell’ordinanza applicativa di misure cautelari e personali ed il decreto di sequestro preventivo, per il reato di cui all’art. 416 c.p. e dell’art. 260 del D.Lgs. 152/06, nei confronti, tra gli altri, del Sig. Manlio Cerroni, presidente del C.d.A. del Colari, proprietario di quote delle società E.Giovi S.r.l. e P. Giovi S.r.l., nonché Amministratore Unico della società Officine Malagrotta S.r.l., promotore, organizzatore e dominus incontrastato del sodalizio criminale; Piero Giovi, Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione del Colari, storico collaboratore del Cerroni; Rando Francesco, Amministratore Unico della società E. Giovi S.r.l., nonché amministratore in molte società riconducibili al Cerroni, e storico “braccio destro” dello stesso.
Nella suddetta ordinanza il Tribunale di Roma ha applicato la misura cautelare nei confronti dei suddetti soggetti “in ordine al delitto di cui all’art. 416 c.p. per essersi tra di loro associati, il Cerroni in qualità di promotore, gli altri in qualità di compartecipi, al fine di commettere una serie indeterminata di reati di abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, traffico di rifiuti, e comunque atti o attività illeciti necessari a consentire il mantenimento o l’ampliamento della posizione di sostanziale monopolio del Cerroni Manlio e delle sue aziende nel settore della gestione di rifiuti solidi urbani prodotti dai comuni insistenti all’interno della Regione Lazio, nonché in ordine al delitto di cui all’art. 260 del D.Lgs. nr. 152/2006 perché anche in tempi diversi ed in concorso tra loro, nelle qualifiche ut supra, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, gestivano abusivamente ingenti quantità di rifiuti”.
L’informativa richiama inoltre il provvedimento di sequestro della somma di € 7.990.013,33 nei confronti della società E. Giovi S.r.l., in relazione al reato di cui agli artt. 110 c.p. e 260 del D.Lgs. 152/06, ed infine rileva che l’ordinanza del Tribunale di Roma fa riferimento anche alla società Pontina Ambiente S.r.l., per la quale è stato emesso in data 29/11/06 un provvedimento interdittivo.
Sulla base di detti elementi, il Prefetto ha quindi ritenuto che – allo stato – sussiste la presenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa previste dal D.Lgs. n. 159/11 e successive modifiche e integrazioni nei confronti del CO.LA.RI., Consorzio Laziale Rifiuti, (e nei confronti anche delle società allo stesso riconducibili, ovvero E.Giovi S.r.l., P.Giovi S.r.l., Officine Malagrotta S.r.l.).
Con il primo motivo di impugnazione, il Consorzio ricorrente deduce che il provvedimento sarebbe stato emesso in difetto di presupposti, in quanto nessuno dei reati per i quali è stata emessa l’ordinanza applicativa di misure cautelari personali ricadrebbe nel novero di quelli individuati nell’art. 84 del D.Lgs. 159/11; né ricorrerebbero i presupposti per l’applicazione dell’art. 91 c. 6 del D.Lgs. 159/11, in quanto non vi sarebbe alcun provvedimento di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali.
Il provvedimento sarebbe quindi viziato per violazione degli artt. 84 e 91 del D.Lgs. 159/11 e per difetto di motivazione, non potendosi desumere dal contenuto dell’atto “alcuna situazione di anche solo ipotizzabile tentativo di infiltrazione mafiosa” prevista nei confronti del Consorzio ricorrente.
Neppure il riferimento all’ordinanza del G.I.P. di Roma potrebbe sostenere l’atto, in quanto dalla disamina del ponderoso provvedimento (410 pagine) non emergerebbe alcun profilo di tentativo di infiltrazione mafiosa all’interno del Consorzio.
Rileva quindi i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, ribadendo che le vicende indicate nell’informativa non sarebbero idonee a far desumere i tentativi di infiltrazione mafiosa.
Con il secondo motivo di impugnazione rileva che il riferimento contenuto all’ordinanza del G.I.P. all’informativa, emessa in data 26/11/06, nei confronti della società Pontina Ambiente S.r.l., non potrebbe sostenere l’atto, in quanto detta informativa sarebbe atipica e non avrebbe in sostanza mai impedito il proseguimento dell’attività da parte della suddetta società.
Inoltre, l’informativa del 2006 non riguarderebbe minimamente i fatti riconducili all’indagine in esito alla quale è stata emessa l’ordinanza cautelare del G.I.P., e comunque l’intero C.d.A. della Pontina Ambiente sarebbe stato sostituito dall’Assemblea del 19/1/07.
Nell’ordinanza cautelare del G.I.P. si farebbe riferimento a reati non idonei a sorreggere la motivazione dell’ordinanza antimafia, trattandosi di reati estranei a quelli individuati nell’art. 84 del D.Lgs. n. 159/11.
I fatti per i quali è stata emessa l’informativa nel 2006 sarebbero risalenti nel tempo e del tutto estranei alla operatività del Colari; inoltre la società avrebbe svolto regolarmente la propria attività dopo l’informativa, non essendovi stati recessi o risoluzioni contrattuali; infine l’Amministratore Unico di Pontina Ambiente, l’indagato Francesco Rando, sarebbe stato sostituito alla fine del 2012.
Sostiene, pertanto, che anche sotto questo profilo l’informativa sarebbe stata adottata in difetto di presupposti, sarebbe viziata per carenza di motivazione e di istruttoria, oltre che per violazione degli artt. 91 e 84 del D.Lgs. 159/11.
Con i motivi aggiunti notificati il 28/2/2014 e depositati il 1/3/2014, il Consorzio ricorrente ha impugnato l’ordinanza contingibile e urgente del Sindaco di Roma Capitale n. 37 del 21 febbraio 2014 con la quale il Sindaco ha ordinato alla società A.M.A. S.p.A. di continuare il conferimento dei rifiuti urbani raccolti nella città di Roma anche presso i due TMB denominati “Malagrotta 1” e “Malagrotta 2” nonché presso l’impianto di Tritovagliatura, impianti riconducibili al Colari; ed ha ordinato la piena operatività dei suddetti impianti “per il tempo strettamente necessario all’individuazione delle più opportune soluzioni nell’ambito dell’indicenda conferenza di servizi ….e, comunque, per un periodo non superiore a tre mesi”.
Detta ordinanza è stata emessa in seguito all’adozione dell’informativa antimafia gravata con il ricorso principale e dunque sarebbe viziata per illegittimità derivata.
Ha poi dedotto i seguenti ulteriori vizi avverso l’ordinanza interdittiva.
Con riferimento all’informativa emessa nel 2006 nei confronti della Pontina Ambiente il consorzio ricorrente deduce che si tratterebbe di un’informativa atipica non avendo effetti interdittivi automatici, tanto che la società non avrebbe mai cessato di intrattenere rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni: detta interdittiva oltre ad essere risalente nel tempo sarebbe priva di effetti.
Il Prefetto avrebbe erroneamente qualificato detta interdittiva come tipica, ponendola a presupposto del provvedimento impugnato.
Ribadisce poi il difetto di motivazione del provvedimento prefettizio e rileva che l’ordinanza del Sindaco di Roma risulterebbe affetta da illegittimità derivata.
Con il secondo motivo aggiunto lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 94 comma 3 del D.Lgs. 159/11, secondo cui i committenti non procedono alle revoche e ai recessi nel caso di fornitura di beni e servizi ritenuti essenziali per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto non sia sostituibile in tempi rapidi: il servizio svolto dal Consorzio Colari nei suoi impianti di Malagrotta 1 e 2 e nell’impianto di tritovagliatura sarebbe un servizio essenziale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani di Roma e dunque illegittimamente il Sindaco avrebbe stabilito un periodo di soli tre mesi per il conferimento; in ogni caso il Sindaco si sarebbe sostituito all’AMA, unico soggetto legittimato ad interloquire con Colari: il provvedimento sarebbe quindi viziato anche per incompetenza.
Con il terzo motivo aggiunto il Consorzio ha impugnato la nota dell’AMA del 27/2/2014, con la quale la società ha rappresentato di non poter procedere al pagamento delle somme spettanti per lo svolgimento del servizio, in considerazione dell’informativa interdittiva, rilevando che le somme si riferiscono a crediti pregressi, e che comunque l’art. 94 c. 2 del D.Lgs. 159/11 non impedisce il pagamento delle prestazioni rese, non potendosi pretendere che il servizio venga svolto gratuitamente.
In conclusione chiede l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Si è costituita in giudizio Roma Capitale che ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso avverso l’ordinanza contingibile ed urgente n. 37/2014 essendo venuta meno la sua efficacia ed essendo stata emessa la nuova ordinanza n. 82/2014 del 21 maggio 2014.
Ha poi chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Si è costituita in giudizio anche l’A.M.A. che ha eccepito anch’essa l’improcedibilità del ricorso avverso l’ordinanza sindacale n. 37/2014 chiedendo il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie e memorie di replica.
All’udienza pubblica del 26 giugno 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il presente ricorso il CO.LA.RI. ha impugnato l’informativa antimafia emessa dal Prefetto di Roma in applicazione dell’art. 84 comma 4 lett. a) del D.Lgs. 159/11 secondo cui: “Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte:
dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356”; a sua volta l’art. 51, comma 3 bis c.p.p. ricomprende il reato di cui all’art. 260 del D.Lgs. 152/06 e cioè il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
Con il primo motivo deduce il ricorrente che:
— nessuno dei reati per i quali è stata disposta la misura cautelare rientra nel novero di quelli indicati nell’art. 84 del D.Lgs. 159/11, né ricorrono i presupposti di cui all’art. 91 del D.Lgs. 159/11;
— il provvedimento è viziato per difetto di istruttoria e di motivazione.
La difesa erariale ha rilevato che:
— il reato previsto dall’art. 260 del D.Lgs. 152/06 rientra tra quelli indicati nell’art. 51 comma 3 bis del c.p.p. quindi l’informativa è stata legittimamente adottata in applicazione dell’art. 84 c. 4 lett. a) del D.Lgs. 159/11;
— l’informativa discende direttamente dalla previsione recata dall’art. 84 c. 4 lett. a) del D.Lgs. 159/11, che la riconnette ai provvedimenti cautelari o che dispongono il giudizio ovvero alla sentenza, anche non definitiva, emessi dal giudice penale per determinati reati tipizzati ivi indicati;
— la valutazione in ordine alla sussistenza del rischio di infiltrazione mafiosa per detti reati è stata effettuata dal Legislatore, basandosi non soltanto sulla loro oggettiva gravità, trattandosi di fattispecie che destano grave allarme sociale, ma tenendo conto dei dati statistici, dai quali emerge che intorno a detti particolari reati gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso;
— l’elencazione comprende, infatti, fattispecie criminose che rientrano nel quadro degli interessi consolidati e delle attività tipiche delle associazioni di tipo mafioso, per cui è rilevante e grave il rischio che tali imputazioni abbiano anche valore sintomatico dell’inquinamento della criminalità organizzata. Ed infatti le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’art. 260 del D.Lgs. 152/06 rappresentano un lucroso e pericoloso settore nel quale si manifesta in maniera prepotente la presenza invasiva della criminalità organizzata;
— detta condotta è stata ragionevolmente ritenuta a rischio da parte del Legislatore.
Il Consorzio ricorrente ha replicato che l’informativa non sarebbe un atto vincolato in quanto:
— la norma richiede la valutazione e non la sola ricognizione da parte del Prefetto;
— la tesi dell’automatismo comporta la violazione del principio di proporzionalità, perché il blocco dell’attività economica, derivante dall’interdittiva antimafia, consegue alla sola fattispecie astratta di reato anche se non è emerso in concreto alcun indizio di connessione con la criminalità organizzata;
— detta interpretazione pone problemi di costituzionalità della norma per violazione dell’art. 41, 3 e 97 Cost.;
— la giurisprudenza esclude l’automatismo tra la fattispecie astratta di reato e l’informativa, in quanto l’interdittiva deve essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari idonei a dimostrare in concreto l’esistenza di pericoli di ingerenza;
— la stessa circolare ministeriale dell’8/2/2013 n. 11001/119/20(6) ricorda l’opportunità dell’acquisizione dei provvedimenti giudiziari per verificare la riconducibilità dei fatti in essi evocati a contesti di criminalità organizzata o comunque significativi di atteggiamenti di contiguità con quest’ultima, escludendo l’automaticità del provvedimento;
— per poter far riferimento alla sola ordinanza emessa dal giudice penale, è necessario che da essa emergano elementi ipotetici di connessione con organizzazioni mafiose: se nell’ordinanza nulla si evince al riguardo, deve essere svolta un’approfondita istruttoria tesa a verificare in concreto l’esistenza di rischi di infiltrazione mafiosa, e di detta valutazione è necessario dare conto nella motivazione del provvedimento;
— detto accertamento è necessario tenuto conto dei gravi effetti prodotti dall’interdittiva, dovendo realizzarsi il giusto bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico cui sono indirizzate le norme di prevenzione;
— il provvedimento impugnato si basa esclusivamente sull’ordinanza del giudice penale che dispone le misure cautelari, dalla quale non emerge alcun elemento tale da poter desumere la sussistenza del rischio di tentativi di infiltrazione mafiosa;
— sarebbe stata quindi necessaria un’approfondita istruttoria diretta a verificare l’esistenza in concreto – e non soltanto in astratto tenuto conto del tipo di reato – di qualche elemento, anche sul piano indiziario, dal quale desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa prima di adottare il provvedimento interdittivo;
— il provvedimento impugnato, fondato soltanto sull’ordinanza del GIP che dispone le misure cautelari, sarebbe quindi viziato per difetto di istruttoria e di motivazione.
Ritiene il Collegio di condividere solo parzialmente quanto dedotto dalla difesa erariale.
L’istituto dell’informativa prefettizia costituisce una tipica misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso, per cui non occorre né la prova di fatti di reato, né la prova dell’effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa, né del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente il tentativo di infiltrazione avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato (T.A.R. Napoli Campania sez. I 3 giugno 2013 n. 2867).
Le informative antimafia svolgono, infatti, la funzione di anticipare la soglia dell’autotutela amministrativa per prevenire possibili ingerenze da parte delle organizzazioni criminali nell’attività delle pubbliche amministrazioni: le pubbliche amministrazioni non possono stipulare o comunque intrattenere rapporti contrattuali con soggetti a carico dei quali l’informativa abbia ravvisato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.
Proprio per l’esigenza di prevenire la soglia delle tutele, come già rilevato, non è richiesto l’accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell’impresa sospettata, ma è sufficiente che, dalle informazioni acquisite tramite gli organi di polizia, emerga un quadro indiziario dal quale traspaiano forme di collegamento tra l’impresa e la criminalità organizzata. A legittimare dunque l’adozione dell’informativa prefettizia è pertanto sufficiente che, all’esito dell’istruttoria, emergano elementi indiziari i quali, complessivamente considerati, rendano attendibile il tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali.
L’informativa antimafia può dunque essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano sufficienti elementi che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata (Cons. Stato n. 254/12), fermo restando che non è sufficiente il mero sospetto ovvero mere congetture prive di alcun riscontro fattuale (cfr. Cons. Stato n. 6493/11 e n. 5130/11).
Nel quadro indiziario complessivo devono assumere rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione mafiosa negli appalti delle pubbliche amministrazioni (Cons. Stato n. 3647/11).
Il quadro indiziario complessivo deve dunque sorreggere una prognosi, non di certezza, ma di possibilità che l’attività di impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose.
Il giudizio prognostico viene effettuato sulla base del principio dell’id quod plurumque accidit, ma deve ancorarsi comunque su fatti concreti, elementi fattuali dai quali possa poi indursi – attraverso il giudizio prognostico – l’esistenza di un potenziale rischio di condizionamento mafioso dell’attività economica dell’impresa che intrattiene rapporti con la P.A.
L’informativa antimafia, infatti, comporta effetti gravissimi che incidono sulla libertà di impresa, e dunque non può essere disposta in via “automatica” senza esaminare compiutamente i comportamenti, le cointeressenze, i contatti, e tutti quegli altri elementi sulla base dei quali si può fondare il giudizio prognostico di sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa.
L’impostazione da cui parte la difesa erariale, fa leva sulla tradizionale distinzione tra le informative ricognitive di cause di per sé interdittive (art. 10 c. 7 lett. a) e b) del D.P.R. 252/98, trasfuse nell’art. 84 c. 4 lett. a) e b) del D.Lgs. 159/11), quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa (e la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del Prefetto, art. 10 c. 7 lett. c) del D.P.R. 252/98) e quelle supplementari (o atipiche), ormai venute meno per effetto del nuovo codice delle leggi antimafia (cfr., tra le tante, Cons. Stato Sez. VI 3/5/07 n. 1948): le informative ricognitive sono correlate ad una valutazione ex ante sulla sussistenza del rischio di infiltrazione mafiosa operata dal Legislatore che, basandosi su dati statistici, ha individuato quali sono i reati “tipici” della criminalità organizzata di tipo mafioso.
Detta tesi, però, nella sua assolutezza non può essere condivisa.
L’individuazione della tipologia dei reati – essendo contenuta in una norma di legge, che per sua natura è astratta – , prescinde dalla concretezza dei fatti: il provvedimento che dispone l’informativa – proprio per gli effetti dirompenti che produce – presuppone a giudizio del Collegio l’accertamento in concreto di ciò che risulta a livello statistico.
In altre parole, sebbene sia esatto che le organizzazioni mafiose comunque denominate, abbiano ormai da anni grande interesse nel settore dei rifiuti, tanto da essere stato coniato il termine “ecomafie”, ciò non implica necessariamente che tutti i soggetti sottoposti ad una misura cautelare o rinviati a giudizio del traffico organizzato di rifiuti – per il solo fatto di essere imputati di quel particolare reato – siano automaticamente a rischio di collusione con ambienti della criminalità organizzata e che come tali non forniscano più sufficienti garanzie per la P.A.
Detta valutazione, o se vogliamo, detta presunzione, non può essere assoluta, tenuto conto degli effetti dirompenti prodotti dall’interdittiva, ma deve essere relativa, dovendo il Prefetto verificare comunque – prima di adottare il provvedimento – l’esistenza della concreta possibilità di interferenze mafiose (come del resto si evince anche dalla circolare ministeriale richiamata dalla difesa del Consorzio ricorrente).
Se così non fosse, come ha correttamente rilevato la difesa del Consorzio verrebbe violato il principio di proporzionalità, in quanto per un pericolo presunto basato su una fattispecie normativa, si lederebbe la libertà di impresa, con ricadute anche a livello occupazionale.
Verrebbe meno il prudente bilanciamento tra gli interessi alla libertà di iniziativa di impresa e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico perseguite dalle norme di prevenzione.
Ritiene quindi il Collegio che la tesi sostenuta dall’Avvocatura erariale si scontri con l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma stessa di cui all’art. 84 c. 4 lett. a) del D.Lgs. 159/11: secondo la norma, infatti, il Prefetto desume le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa dai provvedimenti che dispongono la misura cautelare o il giudizio, o dalle sentenze anche non definitive, il che significa che per poter disporre l’interdittiva non basta il titolo del reato riportato nel provvedimento del giudice penale, ma occorre esaminare il contenuto dell’ordinanza o della sentenza del giudice penale e rintracciare nel provvedimento stesso gli indizi da cui desumere il rischio di contiguità con la malavita organizzata, e dunque l’inaffidabilità dell’impresa.
Occorre infatti ricordare che l’informativa pur non dovendo provare l’intervenuta infiltrazione, deve però sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è possibile desumere il tentativo di ingerenza, come correttamente rilevato dalla difesa del Consorzio ricorrente, tenuto conto che, secondo la giurisprudenza già richiamata, non può disporsi l’interdittiva sulla base di sole congetture.
Ne consegue che il semplice riferimento al reato tipico non può ritenersi sufficiente se non si evince dal provvedimento del giudice penale, o da altri elementi assunti in sede istruttoria, la presenza in concreto di elementi indiziari dai quali desumere la possibile incidenza o condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’impresa sottoposta a controllo.
Detta ricostruzione trova conforto nella più recente giurisprudenza (Cons. Stato Sez. III 15/1/2013) secondo cui “Se l’art. 10, comma 7, del d.P.R. n. 252 del 1998, alle lett. a) e b) prende in considerazione taluni provvedimenti dell’autorità giudiziaria da cui è possibile desumere l’esistenza del pericolo di condizionamento mafioso, l’effetto interdittivo della possibilità di stipulare contratti con la P.A. o di essere beneficiario di concessioni o erogazioni con onere a carico delle risorse pubbliche non discende, tuttavia, con carattere di automatismo dalla solo sussistenza di taluna delle situazioni elencate all’art. 10, comma 7, richiamato, ma si impone un’ulteriore fase istruttoria e momento valutativo che qualifichi la sussistenza in concreto del tentativo di infiltrazione mafiosa degli elementi elencati”; nello stesso senso si pone anche la decisione del T.A.R. Campania 23/1/2014 n. 504).
Venendo al caso di specie, il Consorzio ricorrente ha dedotto nel primo motivo di impugnazione il difetto di istruttoria e di motivazione, rilevando che il provvedimento del Prefetto è stato adottato sulla sola base del provvedimento del giudice penale senza lo svolgimento di alcuna istruttoria, e ciò sebbene nell’ordinanza del GIP di oltre 400 pagine, mai si facesse riferimento a possibili contatti con soggetti legati alla criminalità organizzata.
Le affermazioni del ricorrente non sono state contestate dall’Amministrazione, che ha fondato la sua difesa esclusivamente sulla tesi dell’automaticità dell’informativa, senza addurre – oltre alla questione relativa all’informativa relativa alla società Pontina Ambiente oggetto del secondo motivo di ricorso, e dunque esaminata in seguito -, nessun altro elemento indiziario idoneo a corroborare la presunzione derivante dal particolare tipo di reato, per il quale il presidente del Consiglio di Amministrazione ed i suoi collaboratori sono stati dapprima sottoposti a misura cautelare e poi sottoposti a giudizio immediato.
La tesi del Consorzio è pienamente condivisibile, tenuto conto che dagli atti prodotti in giudizio, anche dopo l’ordinanza istruttoria disposta dal Tribunale, nessun altro elemento istruttorio recente è stato prodotto, al di fuori dell’ordinanza del GIP e del decreto che dispone il giudizio immediato, e che da tali atti non si evince alcunché da cui desumere i tentativi di infiltrazione mafiosa.
La documentazione prodotta dall’Avvocatura erariale il 17 maggio 2014 si riferisce, infatti, all’istruttoria antecedente all’adozione dell’informativa del 2006 nei confronti della società Pontina Ambiente.
Nonostante la gravità dei capi di imputazione, nessun riferimento a contatti con ambienti della malavita organizzata si evince dai provvedimenti del giudice penale, tali da poter far ipotizzare l’esistenza di rischi di contaminazioni con le “ecomafie”.
Il primo motivo deve essere pertanto accolto.
Occorre dunque esaminare la seconda censura, quella relativa all’informativa emessa nel 2006 nei confronti della Pontina Ambiente, tenuto conto che l’interdittiva impugnata si fonda non soltanto sul primo presupposto – quello esaminato in precedenza – ma anche se detto elemento.
Il Prefetto ha infatti rilevato nel provvedimento impugnato che l’ordinanza di custodia cautelare del GIP presso il Tribunale di Roma fa riferimento anche a questa società, e che nei confronti della Pontina Ambiente è stata emessa nel 2006 un’informativa antimafia.
L’Avvocatura erariale, nella propria memoria, ha rilevato che il rappresentante legale di detta società, e cioè il Rando Francesco, anch’esso indagato, viene definito “il braccio destro del Cerroni nelle aziende a lui riconducibili”, e che l’informativa del novembre 2006 oltre ad essere tipica, e non atipica, come sostenuto dal ricorrente, non è stata mai né sospesa né annullata; ha poi sostenuto che stante la stretta connessione tra il Consorzio e la Pontina Ambiente, tenuto conto che il Cerroni – amministratore del Consorzio – è ritenuto amministratore di diritto e di fatto di tutte le aziende che compongono il gruppo industriale, non è illogica la valutazione della Prefettura, in merito al rischio di infiltrazione mafiosa nel Consorzio.
La tesi dell’Amministrazione non può essere accolta.
A prescindere dalla natura tipica o atipica dell’informativa emessa in data 29/11/06, su cui le parti si sono soffermate, sono dirimenti a giudizio del Collegio l’aspetto temporale e gli stessi atti depositati dalla difesa erariale relativi all’istruttoria svolta sette anni fa sulla società.
Innanzitutto – come ha correttamente dedotto il ricorrente -, l’informativa non si correla in alcun modo ai fatti che hanno portato all’adozione dell’ordinanza cautelare su cui si fonda l’interdittiva impugnata; è inoltre molto risalente nel tempo, e nel frattempo la compagine societaria è stata modificata (con delibera dell’Assemblea del 19/1/2007, elemento quest’ultimo non contestato dalla difesa della resistente).
Lo stesso Rando Francesco è cessato dalla carica nel 2012, ben prima che venisse adottata l’ordinanza interdittiva (anche detta circostanza è rimasta incontestata).
Inoltre, dalla stessa documentazione prodotta in giudizio dall’Avvocatura erariale si evince che con riferimento alla Pontina Ambiente erano stati svolti accertamenti, a suo tempo, nei confronti di Di Pietro Giuseppe – soggetto interessato da un processo penale con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata e segnalato per riciclaggio e associazione di tipo mafioso (a margine della nota è poi segnalato che vi era stata richiesta di archiviazione da parte del GIP) – che non compare nell’ordinanza del GIP di Roma su cui si fonda l’informativa antimafia impugnata, e su Rando Francesco, cessato dalla carica nel 2012; nella nota della Questura di Roma del 25/5/2002 n. 7381/02/R (doc. n. 4 fascicolo doc. dell’Avvocatura depositato il 17/5/2014) emerge anche il nome di Manlio Cerroni e del Consorzio Laziale Rifiuti, ma nessun provvedimento interdittivo è stato mai emesso nei confronti del ricorrente, a dimostrazione che se sussistevano all’epoca i presupposti per l’informativa antimafia nei confronti della Pontina Ambiente, non vi erano per il Consorzio Colari.
Ritiene dunque il Collegio che l’informativa del 2006, emessa nei confronti della Pontina Ambiente sulla base di circostanze di fatto ormai mutate per il lungo passaggio di tempo, non possa né sostenere in via autonoma il provvedimento interdittivo, né supportare il carente presupposto costituito dall’ordinanza che dispone la misura cautelare nei confronti del Cerroni e di suoi “collaboratori”.
Del resto la giurisprudenza ha rilevato che “Le informazioni raccolte dal Prefetto in relazione ad “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate” possono consistere in elementi puramente indiziari, purchè il quadro dei dati raccolti riveli l’attualità del pericolo di condizionamento nella scelte gestionali della società che si trovi in rapporto qualificato con la pubblica amministrazione” (Cons. Stato Sez. VI, 30-04-2013, n. 2361)
Il ricorso principale deve essere pertanto accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato per difetto di istruttoria e di motivazione.
Devono essere conseguentemente annullati, per illegittimità derivata, l’ordinanza del Sindaco di Roma Capitale n. 37 del 21 febbraio 2014 e tutti gli altri atti gravati con i motivi aggiunti che sono stati adottati sul presupposto costituito dall’informativa antimafia annullata.
Peraltro, il ricorso avverso l’ordinanza del Sindaco sarebbe stato comunque improcedibile, avendo l’atto perso i suoi effetti, come dedotto nelle memorie di Roma Capitale dell’AMA, e ribadito nella discussione orale.
Tenuto conto della complessità della fattispecie, ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
accoglie il ricorso ed i motivi aggiunti e per l’effetto annulla i provvedimenti con essi impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 26 giugno 2014 e del 10 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Taglienti, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore
Roberto Proietti, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)